Dario Passi vive e lavora a Roma dove è nato.
La sua ricerca apre in pittura uno sguardo ravvicinato sul reale che oscilla tra immagine e segno, tra astrazione e figurazione.
Laureato in Architettura, per un decennio approfondisce - con una ricerca apprezzata internazionalmente e pubblicata su riviste nazionali ed estere - il legame fra architettura ed arti visive, contribuendo a liberare l'idea di costruzione da qualsiasi convenzione ed artificio professionale.
In quegli anni inizia un progressivo distacco dall'architettura come disciplina, a favore di un interesse sempre più marcato verso la pittura ed il gesto d'arte, con la frequentazione di artisti e di gallerie attivi a Roma e con la produzione di grandi tele.
Esordisce nel 1977 partecipando agli Incontri Internazionali d'Arte organizzati da Achille Bonito Oliva.
Nel 1980 espone con Enzo Cucchi alla prima di una serie di mostre intitolate “Duetto”, a cura di Francesco Moschini nelle quali si confrontano le opere di un artista ed un architetto. Nello stesso anno alla mostra “Taormina fin de siecle”, invitato da Italo Mussa, porta un grande quadro ad olio, il primo dei grandi quadri bruni costruiti con un colore – il bruno Van Dick - che nasconde e svela le immagini a seconda di come sia colpito dalla luce. Fanno parte di questa serie di opere, la grande tela Forma Urbis, esposta alle Sale del Bramante a Roma ed i teleri per la sede del Messaggero eseguiti a sei mani con Paola Gandolfi e Stefano di Stasio, a cura di Francesco Moschini.
Degli anni '80 è il definitivo abbandono dell'architettura e l'avvio di una ricerca pittorica che svilupperà negli anni successivi.
Nel 92, per la mostra “Dario passi. Opere recenti” alla A.A.M., assume il colore nero come materiale fondamentale delle tele. Seguono una serie di mostre con questo colore protagonista assoluto fino ad arrivare nel 2001 al lavoro “Grande Opera al Nero”, un assemblaggio lungo 12 metri di tele declinate sulle variazioni di quest'unico unico colore - non colore, esposto alla mostra “Lavori in corso” al Macro di Roma. Nel 2001, nella personale “I colori del grigio”, all'AAM porta una “catasta” di tele di ogni forma e formato con la quale è sancito il passaggio dal nero al bianco e trame sottili ed infittite che derivano dalla fusione di questi due colori. Studi su segno e colore lo occuperanno d'ora in avanti. Nei quadri successivi compariranno crittografie arcaiche e segni infantili, graffiti che, alla ricerca di un nuovo alfabeto, seguiranno il viaggio fluido e libero della linea fino ad invadere l'intera superficie, come nella mostra “On paper”, con Sabina Mirri ed Oscar Turco, alla A.A.M. nel 2004 o nella personale “Noodles” da Fabindia nel 2005. I colori, quei colori fin'ora cercati nella lucentezza dei neri, nell'evanescenza dei bianchi o nelle sfumature dei grigi, irromperanno prepotentemente nelle tele con le loro strutture cromatiche, sovrapponendosi ed intersecandosi in trame e segmenti, come nell'ultima sortita pubblica alla Gallery della Fiera di Roma nel 2007, invitato da Giuseppe Pasquali, dove su una parete lunga 18 metri ha composto una “Quadreria” personale con 5 tele di grande formato.
Oggi continua a lavorare a Roma, intercalando ritirati silenzi a improvvise comparse in spazi abbastanza anomali.